ORARI DI APERTURA

Lo sportello legale dell'Ambasciata dei Diritti e l'osservatorio contro le discriminazioni sono in via Urbino, 18 - Ancona. Per appuntamenti o informazioni potete conotattarci scrivendo a ambasciata@glomeda.org

Sullo sgombero di Casa de nialtri, ex asilo di via Ragusa

 
5 / 2 / 2014

L’atto di forza del Comune di Ancona e delle forze dell’ordine per lo sgombero dell’occupazione pacifica dell’ex asilo di via Ragusa è inaccettabile. Lo spiegamento di poliziotti in tenuta antisommossa, ha nascosto agli occhi di chi vive al Piano il trasferimento forzato degli occupanti, migranti e senza tetto, che avevano occupato lo stabile abbandonato.
 
La giunta Mancinelli è responsabile dell’utilizzo della forza nella soluzione di un problema non di ordine pubblico, ma sociale: la politica istituzionale ha dimostrato di essere incapace di accettare, riconoscere e ascoltare soluzioni politiche nuove che potessero rispondere in modo autogestito a povertà ed emarginazione.
 
L’occupazione di via Ragusa va interpretata come un atto di resistenza degli occupanti a condizioni di vita insostenibili: è stato un modo collettivo per resistere a quelle politiche tese a creare divisione, discriminazione, sfruttamento e precarietà degli esseri umani, e che generano diseguaglianza e disparità. Agli occupanti va riconosciuto di aver conquistato una fetta di libertà: sono passati dall’essere invisibili ad esistere. 
 
Con lo sgombero di oggi si cerca di cancellare questa storia, di riportare i poveri e i migranti in quello stato di invisibilità per riprodurre quell’effimera condizione di sicurezza portata avanti solo con la scusa dell’ordine pubblico, delle telecamere, dei militari per le strade della città, con la militarizzazione del porto.
 
Responsabili e complici dello sgombero vanno tutti condannati.
Dal sindaco alla giunta, che hanno fatto diventare Ancona una città in cui si chiamano i poliziotti per risolvere problemi sociali.
 
Da chi ha dato l’ordine di intervenire all’alba chiudendo il quartiere e facendo tornare alla memoria le deportazioni, non serve tornare alla seconda guerra mondiale, basta ricordare quelle più recenti della ex Juguslavia.

Noi dal basso ancora una volta siamo per la libertà di resistere.

Ambasciata dei Diritti Marche
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Il viaggio costituente dal basso

Il 30 gennaio siamo partiti da Ancona la mattina molto presto, ma ce l’abbiamo fatta ad arrivare alle 15.30 a Lampedusa; il vento violento ci ha fatto atterrare nonostante le condizioni di burrasca e di pioggia intensa. Questo viaggio aereo, ci ha dato subito idea di come la vita a Lampedusa, faccia sempre i conti con le leggi del mare e del vento.



I lampedusani con cui abbiamo bevuto un caffè, un bicchiere di vino, nel cui ristorante siamo andati a cena, o che abbiamo incontrato lungo via Roma, ci hanno raccontato che a Lampedusa non si nasce e non si muore. Perché il piccolo poliambulatorio del paese non ha neanche un servizio ostetrico quindi c’è da sperare di aver bisogno di andar all’ospedale di Palermo in una giornata con poco vento con aerei che decollano e atterrano, altrimenti a Lampedusa non si ha diritto di partorire e nemmeno di star male.
Gli unici a morire sull’isola, dicono, sono i migranti.
E dicono anche che a scuola i bambini e i ragazzi, dalle elementari alle superiori vanno a lezione a turni, alcuni la mattina altri il pomeriggio, perché di soldi per sistemare la scuola non ce ne sono e le aule non sono sufficienti per tutti.
Anche per ragioni come queste, i lampedusani non vogliono che il centro di accoglienza sia aperto e che ad esso vengano destinati soldi pubblici.
I lampedusani sono gente di mare e nessuno di loro si sente illegale per aver salvato in quei terribili giorni di ottobre le persone che stavano annegando, averle ospitate in casa propria dandogli da mangiare e bere. Loro a mala pena lo sanno che cos’è il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Sono accoglienti, e lo rivendicano. E quando gli diciamo che siamo d’accordo, che il centro di accoglienza deve chiudere, fanno marcia indietro e ci dicono che in fondo è meglio che il centro ci sia e che i migrati arrivino a Lampedusa perché “almeno loro gli vogliono bene, non come a Mineo che non si sa che fine fanno”.
Siamo andati a Lampedusa per questo. Avevamo appuntamento con decine di associazioni, movimenti, singoli, sindacati, giuristi, gruppi laici e religiosi, da tutta Italia ed Europa, ma avevamo anche l’obiettivo di incontrare chi quest’isola la vive e ai quali è giusto restituirla, nella sua bellezza naturale e con i suoi diritti civili. Ci ha dato forza l’incontro con loro, prima e durante le assemblee di venerdì, sabato e domenica. Ci ha dato la forza per riaffermare ancora una volta che nessun luogo, né Lampedusa né altri vanno relegati a luoghi simbolo del dramma migratorio ad area di frontiera militarizzata. Ci ha dato la forza per riaffermare che per il riconoscimento dei diritti c’è bisogno di un movimento che coinvolga tutto e tutti nei percorsi di costruzione di nuovi diritti e di lotte per la loro conquista.
A Lampedusa va tolta cittadinanza alla detenzione dei migranti e a viaggi disumani per renderla una città educante, curante e accogliente non solo con i migranti, ma anche con quel turismo che a quest’isola dà da mangiare.
Sono stati giorni bellissimi, di conoscenza e scambio, di fatica e soddisfazione, di stanchezza ed entusiasmo, ed ora si riparte ognuno dal proprio territorio, con in mente la gioia di veder su via Roma, centro dell’isola, non solo polizia e militari, ma anche tutti quanti noi parlare con i lampedusani e portare a termine un grande lavoro politico – la Carta di Lampedusa – da cui (ri)partire per immaginare uno spazio EuroMediterraneo diverso per tutti.

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INIZIANO LE GIORNATE DELLA CARTA DI LAMPEDUSA

L’Ambasciata dei Diritti il 31 gennaio, l’1 e il 2 febbraio 2014 sarà a Lampedusa per scrivere la Carta di Lampedusa, e affermare dei principi che tutelano la libertà e i diritti di tutte le persone, a partire dal fatto che nessun essere umano deve più essere sottoposto a violenze e detenzioni arbitrarie, né tanto meno rischiare la propria vita, solo perché ha voluto o dovuto lasciare il proprio paese per raggiungerne un altro.

L’Ambasciata dei Diritti fa parte del gruppo di associazioni, movimenti, singoli, e sindacati, giuristi, gruppi laici e religiosi provenienti da tante parti d’Italia e da diversi paesi europei e nordafricani.

Questa tre giorni è il primo risultato della proposta lanciata all'indomani della strage del 3 ottobre è già stato raggiunto: la costruzione di un percorso comune. Infatti una bozza della Carta è stata scritta nelle ultime settimane con modalità che ha messo al centro la partecipazione dal basso, ma dove i punti centrali condivisi da tutti sono stati la libertà di circolazione, la chiusura delle strutture di detenzione per i migranti. Il percorso iniziato con la stesura della carta e che continuerà con iniziative dirette per il rispetto dei principi hanno dimostrato che è possibile immaginare percorsi di coalizione, di prospettiva che dal basso disegnino un'altra idea dello spazio euromediterraneo fatta di diritti e dignità.

Vogliamo porre le basi per la costruzione di una nuova Europa e di un Mediterraneo di pace, in cui non ci sia spazio per la militarizzazione, e in cui Lampedusa sia liberata dal ruolo che i governi italiani di qualsiasi colore politico, nonché l’Unione europea, le hanno imposto per troppo tempo: quello di confine e di frontiera.

Si parlerà anche del porto di Ancona, che più degli altri porti dell’Adriatico, è stato militarizzato e isolato con le barriere e le reti previste da un piano security immotivato dalla realtà storica dello scalo dorico, facendolo divenire un’area di frontiera dell’Unione europea dove le merci hanno la possibilità di circolare, mentre le persone vengono bloccate impedendone la libertà di movimento.

Sabato alla sede dell’Ambasciata dei diritti in via Urbino 18 ad Ancona ci sarà un’incontro pubblico per non stop dalle 10 della mattina per seguire i lavori.

Ambasciata dei Diritti Marche
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